La decisione di monsignor Crociata
Il vescovo di Latina, Terracina, Sezze e Priverno, monsignor Mariano Crociata, ha firmato il decreto di sospensione di don Leonardo Pompei, parroco della chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo a Sermoneta. La decisione è maturata dopo settimane di tensioni interne alla diocesi e il rifiuto del sacerdote di adeguarsi alle direttive ricevute.
La sfida su YouTube
Due giorni prima della sospensione, il vescovo aveva imposto a don Pompei di sospendere ogni attività sui social media. Il sacerdote, tuttavia, ha ignorato il provvedimento, organizzando un incontro online in diretta su YouTube. L’evento, aperto a chiunque fosse in grado di connettersi, è diventato un atto di sfida pubblica alle disposizioni della diocesi.
La rottura con la gerarchia
Nel corso dell’intervento, don Pompei ha spiegato di non voler più vivere “in comunione con il vescovo diocesano e con la gerarchia della Chiesa”, dichiarando inoltre di non avere intenzione di celebrare la messa secondo la liturgia stabilita dal Concilio Vaticano II. Una posizione netta, che ha sancito la rottura con la diocesi e con le norme in vigore nella Chiesa cattolica.
Il decreto di sospensione e le conseguenze
Il decreto firmato da monsignor Crociata è chiaro: a don Pompei non solo è stata tolta la guida della parrocchia, ma gli è stata anche concessa la dispensa dall’obbligo dell’abito talare e intimato di non presentarsi pubblicamente come sacerdote. Al suo posto, la comunità di Sermoneta è stata affidata a don Giovanni Castagnoli.
Il futuro del caso: interviene il Vaticano
La diocesi ha comunicato che le affermazioni di don Pompei sono state trasmesse al Dicastero per la Dottrina della Fede, che dovrà valutarne la portata e decidere eventuali ulteriori provvedimenti. Una vicenda che potrebbe avere conseguenze pesanti, anche sul piano canonico, considerando le posizioni espresse dal sacerdote.
Una comunità divisa
La notizia della sospensione ha scosso i fedeli di Sermoneta. Alcuni hanno espresso solidarietà al parroco, altri hanno accolto la decisione del vescovo come necessaria per preservare l’unità della comunità. Il caso, però, apre una riflessione più ampia sul rapporto tra i sacerdoti e l’uso dei social media, così come sulle tensioni interne alla Chiesa legate alla liturgia del Vaticano II.