Liliana ResinovichLiliana Resinovich

L’impronta sul sacco è compatibile con i jeans della vittima

Una nuova perizia disposta dalla Procura di Trieste sembra riscrivere un importante dettaglio del giallo sulla morte di Liliana Resinovich, la 63enne triestina trovata senza vita il 5 gennaio 2022, due settimane dopo la scomparsa.
Contrariamente a quanto ipotizzato in precedenza, l’impronta visibile su uno dei sacchi neri in cui era stato rinchiuso il cadavere non appartiene a un guanto, ma è compatibile con la trama dei jeans che la donna indossava al momento del decesso.

Lo rivela il quotidiano Il Piccolo, citando l’esito delle analisi affidate al Gabinetto interregionale di polizia scientifica di Padova, dopo che il giudice per le indagini preliminari, Luigi Dainotti, aveva rigettato la richiesta di archiviazione del caso, ordinando nuovi accertamenti tecnici.


La “traccia guantata” era in realtà una pressione del tessuto

Il Gip aveva chiesto una comparazione tra l’impronta “a trama” rinvenuta sul sacco e i guanti usati dagli operatori di polizia scientifica, per escludere un possibile intervento esterno. Tuttavia, la trama rilevata si è rivelata non compatibile né con i guanti repertati né con il guanto sinistro ritrovato a pochi metri dalla scena.

Gli investigatori hanno quindi ricreato in laboratorio le stesse condizioni ambientali, utilizzando i jeans originali della vittima e tre campioni di sacchi della spazzatura analoghi a quelli trovati sulla scena. Il risultato: le impronte adesive lasciate dal tessuto replicano in modo coerente il disegno visibile sul sacco che ricopriva gli arti inferiori di Liliana.

Una svolta che smonta l’ipotesi di un possibile contatto da parte di terzi con le buste in plastica, almeno per quanto riguarda quella specifica traccia.


Focus sulla GoPro: il percorso di Visintin nel giorno della scomparsa

Ulteriori accertamenti sono stati eseguiti anche sul video registrato dalla GoPro installata sulla bicicletta di Sebastiano Visintin, marito di Liliana e ad oggi unico indagato per la morte della donna.

Il dispositivo ha ripreso un tragitto effettuato da Visintin il 14 dicembre 2021, giorno della scomparsa della moglie, tra le 12:16 e le 13:33. Secondo quanto verificato dal Centro operativo per la sicurezza cibernetica della polizia postale del Friuli Venezia Giulia, le coordinate GPS e i metadati dei file video risultano congruenti con le immagini registrate e con quanto dichiarato dall’uomo.

Non emergono dunque al momento elementi che smentiscano la versione fornita da Visintin, il quale ha sempre sostenuto di non sapere nulla delle sorti della moglie, con la quale conviveva, nonostante un rapporto complicato.


Il cadavere, la scomparsa e il mistero irrisolto

Il corpo senza vita di Liliana Resinovich era stato rinvenuto il 5 gennaio 2022 nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste, in due sacchi della spazzatura, con la testa infilata in una busta di plastica. La donna era scomparsa il 14 dicembre 2021, lasciando il cellulare a casa. L’autopsia non ha mai chiarito in modo definitivo le cause del decesso, oscillando tra l’ipotesi suicidaria e quella omicidiaria.

Il primo filone investigativo aveva visto Visintin escluso da sospetti, ma successivamente — anche grazie a pressioni della famiglia Resinovich e alla bocciatura della richiesta di archiviazione da parte del Gip — il caso è tornato al centro dell’attenzione giudiziaria. Il marito è al momento indagato per omicidio, sebbene la sua posizione resti ancora al vaglio degli inquirenti.


Prossimi passi: nuove perizie e decisioni della Procura

Alla luce di questi accertamenti tecnici, la Procura di Trieste dovrà decidere se proseguire con l’inchiesta o riproporre l’archiviazione. La famiglia Resinovich, assistita dall’avvocato Nicodemo Gentile, continua a chiedere verità e giustizia, mentre gli elementi tecnico-scientifici sembrano via via restringere il campo sulle dinamiche e sulle tempistiche della morte.

Il caso resta uno dei gialli giudiziari più discussi degli ultimi anni, con una miscela di aspetti tecnici, incongruenze e vuoti investigativi che rendono difficile arrivare a una verità definitiva.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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