Massimo BossettiMassimo Bossetti

Condannato per l’omicidio di Yara Gambirasio: ‘Non sono un assassino, vivo con l’etichetta del mostro’

Sopravvivo all’ingiustizia che sono costretto a vivere. Mi sento addosso l’etichetta del mostro, un tatuaggio stampato sulla testa che porterò fino alla fine dei miei giorni. Ma non sono un assassino”. Sono parole che colpiscono, quelle di Massimo Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per il delitto della tredicenne Yara Gambirasio, che ha parlato per la prima volta in tv nel nuovo format “Belve Crime”, condotto da Francesca Fagnani su Rai 2.

L’intervista – attesa, controversa e intensa – arriva a quindici anni dall’omicidio che sconvolse l’Italia intera, e riaccende interrogativi su verità giudiziarie e verità interiori, tra sofferenza personale, contraddizioni, ed emozioni mai sopite.


‘Rispetto le sentenze, ma posso metterle in discussione’

Bossetti, detenuto da undici anni, ha ripercorso le tappe del processo che lo ha visto imputato e poi condannato in via definitiva, ribadendo con fermezza la sua innocenza:

“Capisco il dolore dei genitori di Yara, ma non si è fatta la giustizia che meritavano. Non sono state percorse tutte le piste. Ignoto 1 non può essere Massimo Bossetti. È tutto assurdo”.

A inquietare ancora oggi è quel DNA rinvenuto sugli indumenti intimi della vittima, punto chiave dell’accusa. Eppure Bossetti, muratore di Mapello, insiste: “Io Yara non l’ho mai vista, non l’ho mai incontrata”.


“La verità è l’unica arma che ho. Ma nessuno ha voluto ascoltarla”

Nel corso dell’intervista, la Fagnani lo incalza sul suo rapporto con la verità, sulla coerenza delle sue dichiarazioni, sulle contraddizioni emerse nei tre gradi di giudizio:

“Io mi sono sempre difeso con l’unica arma che ho, la verità. Ma non c’è peggior nemico di chi non vuole ascoltare”.

Eppure, ci sono ombre nel suo passato che non hanno giocato a suo favore: le bugie sul lavoro, le lampade abbronzanti nascoste alla moglie, e quel soprannome pesante attribuitogli dai colleghi, “Il Favola”, per le storie inventate sulla sua salute.

“Dicevo di avere tumori al cervello perché non venivo pagato da mesi. Era una scusa. Non volevo far preoccupare mia moglie”.


Il dramma personale: dal tradimento al tentato suicidio

Uno dei passaggi più toccanti riguarda il rapporto con la moglie Marita, finito sotto la lente dei media e della giustizia quando emerse un tradimento da parte di lei. Una ferita profonda per Bossetti:

“È stato un matrimonio felice, fino a quando in aula mi hanno detto dei suoi tradimenti. Non lo sapevo. Ho anche tentato il suicidio: mi hanno trovato con la testa nel lavandino e una cintura al collo”.

Nonostante tutto, oggi afferma che tra loro esiste ancora un legame:

“Siamo vicini, ci sentiamo. Lei è convinta della mia innocenza. Mi conosce, sa chi sono”.


Il giorno della scomparsa di Yara

Quando la conduttrice gli chiede dove si trovasse il giorno della scomparsa di Yara, Bossetti ammette:

“Ricordo che pioveva o nevicava. Non ero al cantiere. Forse ho fatto delle commissioni, sono andato dal commercialista, dal parrucchiere… ma non c’è un alibi certo. Non ho mai avuto un alibi”.

Un vuoto che pesa e che, nel tempo, ha alimentato dubbi e certezze processuali.


La scoperta sul padre biologico: “Me la sono presa con mia madre”

Nel carcere, Bossetti ha scoperto anche un’altra verità devastante: non è figlio biologico di Giovanni Bossetti, l’uomo che lo ha cresciuto e amato.

“Me la sono presa con mia madre. In 44 anni mi ha nascosto una cosa tremenda. Ma Giovanni resta mio padre. Mi ha sostenuto fino alla fine”.

Anche il fratello non sarebbe figlio dell’uomo che credeva suo padre. Ma la madre, scomparsa senza mai chiarire, ha continuato a negare:

“Lei insisteva, diceva che eravamo figli suoi e di Giovanni. Non ci siamo mai chiariti. Si è portata questo segreto nella tomba”.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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