Alessandro Antonicelli conosciuto sui social come Pettor AleAlessandro Antonicelli conosciuto sui social come Pettor Ale

«La vita vale sempre la pena di essere vissuta»

È la frase che apre e chiude la storia breve, brutale e luminosa di Alessandro Antonicelli, 26 anni, personal trainer, influencer fitness, laureato in Biologia e conosciuto online come Pettor_Ale, seguito da oltre 159 mila persone. È morto il 6 dicembre, dopo una battaglia durata due anni contro un osteosarcoma condroblastico, forma rarissima e aggressiva di tumore osseo.

Alessandro non ha scelto il silenzio, non ha abbassato lo sguardo, non ha confuso dolore e vergogna: ha raccontato tutto. Diagnosi, paura, fisioterapia, interventi, recidive, speranza, rabbia, sogni in sospeso. In rete, il suo corpo non era solo muscolo da scolpire, ma luogo di resistenza.

«Oggi il mondo è un po’ più vuoto»

È l’incipit dell’annuncio che compare sull’account Instagram, scritto dalla famiglia, che ringrazia ma chiede protezione e silenzio. «Ale è volato via, libero dal dolore, trovando la pace che meritava». Niente enfasi funebre, nessuna sovraesposizione: solo il bisogno di custodire l’abisso del privato. E poi la promessa: il progetto “Fuck Cancer” andrà avanti, con la stessa intensità con cui lo aveva voluto Alessandro. Nei suoi video, nelle dirette, nei post, non c’era mai vittimismo. C’era un ragazzo che si era visto crollare il futuro addosso e che però continuava a ribadire: «La vita vale, sempre».

Il male raro e quel giorno in cui tutto è cambiato

Gli allenamenti, i progressi in palestra, l’apertura di un’attività a Milano, un percorso accademico alla magistrale in Scienze dell’alimentazione: la traiettoria era costruita, solida. Poi arrivano i segnali. Il dolore al ginocchio, la stanchezza cronica. «Avrei voluto si trattasse di legamenti o menisco. Ma purtroppo così non è stato», raccontava nel primo post dedicato alla malattia. La diagnosi è spietata: osteosarcoma condroblastico, due casi per milione, una di quelle statistiche che sembrano appartenere sempre a qualcun altro.

Il giovane influencer decide allora di trasformare Instagram in un diario pubblico di cura e lotta. Non un palco, ma un referto emotivo. Si mostra in ospedale, con le flebo, con il corpo smagrito, con le cicatrici. E mostra anche i sorrisi, i progressi, gli istanti in cui sembra poter tornare alla vita di prima. Non chiede pietà, chiede ascolto. Non cerca numeri, cerca consapevolezza.

Una comunità digitale che diventa reale

Il dolore che colpisce chi lo seguiva non è virtuale. È concreto, composto, devastante. Tra i commenti di cordoglio c’è chi ricorda l’amico di palestra, chi il motivatore, chi il ragazzo che apriva la camera frontale e parlava come a un compagno, non come a un pubblico. «Tornerò più forte di prima, è una promessa», aveva scritto il giorno dell’annuncio. Non ha potuto onorarla nella carne, ma resta nelle parole e nel progetto che altri porteranno avanti.

La sua bicicletta, i video di pesistica, le lezioni sul metabolismo, i consigli alimentari: tutto resta come archivio prezioso di una generazione che ha dovuto imparare che l’invulnerabilità muscolare non esiste.

L’eredità di Ale: non farsi definire dalla diagnosi

In un tempo che spettacolarizza tutto, Alessandro ha mostrato la malattia senza compiacimento né filtro estetico. Ha reso pubblico il dolore solo per dargli senso collettivo. Un influencer che ha influenzato davvero, non per metodo o cosmetica, ma per testimonianza.

Ora resta la promessa della famiglia: «Porteremo avanti il suo progetto Fuck Cancer». Non come slogan aggressivo, ma come gesto di educazione sociale, come parola che appartiene a un ragazzo che non ha mai smesso di vivere anche quando il suo corpo glielo impediva.

La vita vale sempre la pena di essere vissuta. Anche quando brucia. Anche quando si spezza a 26 anni.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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