Aggrapparsi ad una scala di valori. Assoluti. I risultati arriveranno di conseguenza. Era la sintesi della filosofia di Enzo Bearzot, mica uno qualunque. I risultati giunsero eccome. I valori precedettero. La maglia azzurra era un onore.
Senso di appartenenza e ‘scollamento’ del sistema
Oggi il tifoso medio non sembra più percepire ciò. Non è solo una crisi tecnica. Il calcio, in fondo, come la politica, è questione di parole: quelle che si mantengono, e quelle che si svuotano. La Nazionale, che dovrebbe essere la somma dei migliori elementi del sistema, oggi riflette piuttosto i suoi scollamenti: una dirigenza senza visione, un’identità tecnica mai consolidata, e ora anche l’assenza di una figura di riferimento. Fabio Capello ha definito l’esonero “figlio di logiche emotive”, mentre Giovanni Malagò ha tentato una sintesi tra rammarico e dignità istituzionale.
“Abbiamo perso una partita che definire importante è dire poco”, ha ammesso. Ma il passaggio più rivelatore è altrove: “Ci sono stati episodi tristi. La situazione si è molto complicata, ma nulla è perduto.”
Eppure, il senso del “perduto” è già palpabile. Non nei risultati, ma nella percezione che manca una volontà condivisa. Ranieri non ha detto no a un incarico: ha detto sì a un principio. La Nazionale resta, intanto, senza timone, e senza tempo da perdere.
Nel silenzio ovattato del Salone d’Onore del CONI, dove si celebra il fair play come valore e come rito, si è consumata una dichiarazione che pesa più di una nomina mancata. Claudio Ranieri, interpellato informalmente per la panchina della Nazionale dopo l’uscita di scena di Spalletti, ha declinato. Con garbo, con coerenza, e soprattutto con quella parola data — al Cagliari e al proprio senso dell’onore — che oggi appare come un’anomalia etica nel calcio moderno.