Carlo SassiCarlo Sassi

Una vita tra pallone e televisione

Carlo Sassi se n’è andato a 95 anni, lasciando dietro di sé una traccia indelebile nel racconto televisivo del calcio. Nato a Milano, aveva inseguito da ragazzo il sogno di una carriera da calciatore: un provino con l’Inter non andò come sperava, ma la sua passione per il pallone lo portò a giocare in Serie C e nei dilettanti. Quella del campo non era però la sua strada definitiva. Il suo destino era legato alle immagini, non al pallone tra i piedi.

Negli anni Sessanta, in un’Italia che stava scoprendo la televisione come finestra sul mondo, Sassi entrò in Rai. Nel 1960 iniziò la sua avventura con “La Domenica Sportiva”, programma già allora punto di riferimento per gli sportivi. Non immaginava che proprio lui, anni dopo, avrebbe scritto una pagina fondamentale della storia televisiva e calcistica.


La rivoluzione della moviola

Il 22 ottobre 1967 è una data che resterà per sempre nella storia della tv italiana. Quel giorno, durante il derby di Milano tra Inter e Milan, Gianni Rivera segnò un gol che suscitò polemiche: la palla aveva davvero oltrepassato la linea? Per la prima volta Sassi propose un’analisi al rallentatore delle immagini: era la nascita ufficiale della “moviola”.

Con i mezzi tecnici di allora, infinitamente lontani dalla tecnologia del VAR che conosciamo oggi, Sassi mostrò come fosse possibile indagare la verità calcistica attraverso le immagini televisive. Con rigore e meticolosità stabilì che il pallone non aveva del tutto oltrepassato la linea. Quel giorno nacque un nuovo modo di guardare il calcio, destinato a cambiare le abitudini di milioni di tifosi.


Un rito domenicale per gli italiani

Negli anni Settanta e Ottanta, quando tutte le partite si giocavano la domenica pomeriggio alle 14.30, la “moviola” divenne appuntamento fisso per le famiglie italiane. Non era solo televisione: era un rito collettivo. Allenatori, giocatori e tifosi aspettavano il verdetto di Sassi per chiarire episodi contestati e discutere per giorni.

La rubrica “Pronto moviola”, ideata e condotta da lui, divenne un piccolo laboratorio di verità: al telefono intervenivano calciatori, tecnici e talvolta gli stessi arbitri. Il giudizio di Sassi non aveva valore ufficiale, ma contava quasi quanto quello dei direttori di gara. In un’epoca senza social, le sue analisi erano il tema di discussione nei bar e negli spogliatoi.


L’addio alla Domenica Sportiva e i nuovi progetti

Sassi rimase alla guida della moviola fino al 1991. L’arrivo delle pay tv e dei posticipi rese meno centrale il suo lavoro, ma lui seppe reinventarsi. Collaborò con Sandro Ciotti nel programma “Quasi Gol” e dal 1993 trovò nuova linfa nel salotto di “Quelli che il calcio”, accanto a Fabio Fazio e Marino Bartoletti. Qui, fino al 2001, portò la sua esperienza e la sua ironia in un format che mescolava spettacolo e sport.


Il ricordo della Rai e del mondo sportivo

La notizia della sua morte ha suscitato un’ondata di commozione. La Rai lo ha ricordato con parole toccanti: “Pioniere dell’uso della moviola, introdotta nel 1967, ha cambiato il modo di raccontare il calcio e lo sport in televisione. Con rigore e passione ha accompagnato per decenni i telespettatori, lasciando un segno indelebile nella storia del giornalismo sportivo italiano.”

Anche molti ex colleghi e giornalisti hanno voluto sottolineare la sua capacità di innovare e di interpretare il mezzo televisivo con intelligenza e curiosità, anticipando un linguaggio che oggi appare scontato ma che allora era rivoluzionario.


Un’eredità che vive ancora oggi

Oggi, con la tecnologia del VAR, sembra naturale affidarsi alle immagini per stabilire la verità su un episodio di gioco. Ma senza il coraggio e l’intuizione di Carlo Sassi quel percorso forse sarebbe stato più lungo e complesso. La moviola non era solo tecnica: era un modo di portare la passione e il dibattito calcistico dentro le case degli italiani.

Sassi ha insegnato che il calcio non è soltanto novanta minuti sul campo, ma anche il racconto, l’analisi e la memoria che rimangono. La sua figura resta impressa come quella di un pioniere: discreto, mai sopra le righe, ma capace di cambiare per sempre la storia del giornalismo sportivo.


Conclusione

Con la sua morte, il calcio italiano perde una voce storica, un testimone di un’epoca in cui lo sport era racconto collettivo, attesa e confronto. Carlo Sassi ha lasciato un segno che va oltre la televisione e oltre la moviola: ha insegnato a guardare il calcio con occhi diversi, e in questo sta la sua grande eredità.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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