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La finale di Nations League tra Spagna e Portogallo è terminata ai rigori dopo un 2-2 nei tempi regolamentari. A decidere la sorte degli spagnoli è stato un errore dal dischetto di Alvaro Morata, attaccante della Roja e marito dell’influencer e imprenditrice italiana Alice Campello. Ma ciò che ha seguito l’esito della partita ha superato ogni limite della civile convivenza: una violenza verbale senza precedenti ha travolto la giovane donna e la sua famiglia, trasformando una delusione sportiva in un episodio drammatico di odio online.


Dalle critiche al linciaggio digitale

In pochi minuti dopo il fischio finale, i profili social di Alice Campello sono stati invasi da insulti e minacce di una brutalità agghiacciante. Non solo parole offensive, ma vere e proprie intimidazioni rivolte a lei, al marito e persino ai loro figli. Tra i messaggi più spaventosi, uno in particolare è stato scelto da Alice per essere condiviso pubblicamente, a testimonianza di quanto accaduto:

«Ucciderò tuo marito se lo vedo per strada… ucciderò i bambini con le mie stesse mani».

Una frase che fa rabbrividire, e che ha spinto l’imprenditrice veneta a rompere il silenzio. Il suo commento, misurato ma profondamente toccante, è stato il seguente:

«Ci rendiamo conto che stiamo parlando di una partita di calcio?»


La risposta di Alice: equilibrio e consapevolezza

Lungi dal lasciarsi travolgere dal vittimismo, Alice Campello ha deciso di affrontare l’accaduto con maturità e lucidità.

«Tutti commettiamo errori nella vita… ma non siamo nessuno per giudicare gli altri», ha scritto in una delle sue stories.
Con grande chiarezza, ha ricordato che il calcio è uno sport, e come tale va vissuto: con passione, certo, ma anche con misura e rispetto.
«Ciò che conta è la persona che si è nella vita, non una singola prestazione», ha aggiunto, ribadendo un messaggio fondamentale in tempi in cui l’identità digitale sembra contare più dell’umanità.


L’altra faccia del web: il sostegno della rete

Non sono mancati, fortunatamente, i messaggi di solidarietà. Centinaia di utenti hanno espresso affetto e vicinanza alla coppia, dimostrando che il web può anche essere uno spazio di empatia e supporto.

«Grazie a Dio esistono ancora persone buone», ha scritto Alice, pubblicando alcuni dei messaggi ricevuti.
Una madre le ha scritto:
«Non fate caso alla cattiveria… Avete una famiglia meravigliosa e questo è ciò che conta».
E un altro utente ha aggiunto con semplicità:
«Dì a Morata di non abbattersi, capita a tutti».

Queste parole hanno riportato l’attenzione sull’importanza di un dialogo costruttivo e rispettoso, anche — e soprattutto — in una sfera impalpabile come quella virtuale.


Oltre il calcio: il pericolo dell’odio online

Il caso Campello-Morata è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi che dimostrano come l’odio social possa diventare una forma concreta di violenza. L’anonimato, l’impunità percepita, la frustrazione repressa: tutto contribuisce a generare una spirale pericolosa, che si abbatte su persone reali, con emozioni, famiglie, fragilità.

Serve una riflessione profonda, culturale e politica, su come educare al digitale, su come arginare l’aggressività online e proteggere le vittime. Episodi come questo non possono essere derubricati a “sfoghi da tifosi”. Sono reati, e come tali vanno considerati.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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