Perché Marco Fiocchetti lascia ora? L’addio che emoziona l’Italia del tennis
Marco Fiocchetti si è congedato dalla Rai nel modo più cinematografico possibile: con Jannik Sinner steso sul cemento dell’Inalpi Arena, il pubblico di Torino in delirio e una partita — quella contro Carlos Alcaraz — destinata a entrare nella storia degli ascolti italiani. E proprio quando la festa stava esplodendo, la voce che ha accompagnato generazioni di appassionati si è incrinata: «È arrivato il momento di salutare la Rai… prima che mi commuovo, grazie Rai. Buonanotte e buona fortuna».
Un addio improvviso, inatteso, quasi sussurrato tra la gioia del trionfo azzurro. Una chiusura perfetta per un telecronista che ha scelto di congedarsi nel suo habitat naturale: la grande notte del tennis.
Fiocchetti: ‘Meglio di così non poteva finire’
«Un trionfo per tutti, anche per me che ho chiuso alla stragrande», ha raccontato Fiocchetti nelle ore successive. «Mi ero scritto tutto, tranne una frase: meglio di così non poteva finire. Perché non potevo saperlo».
E invece, il destino ha voluto che la sua ultima telecronaca fosse proprio quella della vittoria che ha frantumato ogni record: 6.789.000 spettatori, il dato più alto della storia italiana per un match di tennis.
Fiocchetti è apparso visibilmente commosso quando ha tolto le cuffie per l’ultima volta: «Avevo le lacrime agli occhi. E c’era Sinner steso a terra: mi sono sentito un po’ come lui».
Una vita nel tennis e un passato drammatico: ‘Ho quasi perso una gamba per questo lavoro’
Il legame di Fiocchetti con il tennis non è solo professionale. È fatto di passione, sacrifici e anche di dolore.
«Ho dato il sangue per questo sport», ha ricordato. E non è una metafora. Nel 1992, in Brasile, durante un reportage per la Coppa Davis, rimase coinvolto in un incidente gravissimo: l’auto si cappottò sulla spiaggia di Maceió. «Il mio corpo era fuori dall’auto, ma la gamba è rimasta chiusa dentro. I medici me l’hanno riattaccata. Mi hanno salvato la vita».
Una vita che ha continuato a dedicare al tennis, raccontandolo dagli anni ’80 fino alla consacrazione della nuova generazione azzurra.
L’erede di Galeazzi, il rapporto con Panatta e il ‘senso di colpa’ per Sinner
Nella sua ultima intervista ha confessato anche un pensiero che lo tormenta:
«Io ho avuto Jannik e Galeazzi no. Mi sento quasi in colpa».
Un paragone affettuoso, un ricordo di chi l’ha preceduto e che avrebbe certamente adorato narrare le imprese di Sinner.
Accanto a Fiocchetti, negli ultimi anni, Adriano Panatta: complicità, battute, ritmo spontaneo. «Con lui non è un lavoro, è un divertimento. Abbiamo riso tanto. Lasciare è traumatico».
Eppure, anche la carriera più longeva deve avere un epilogo. E Fiocchetti sapeva da mesi che le Finals sarebbero state il suo ultimo palcoscenico: «Ho ferie arretrate, finirò di lavorare tra un anno. È il momento del ricambio generazionale».
Sinner, Alcaraz e il tennis di oggi: chi è davvero il più forte?
Fiocchetti, da osservatore privilegiato, non ha dubbi sul punto di forza di Sinner: la testa.
«Alcaraz gioca meglio a tennis, ma si perde. Sinner no. La sua dedizione è totale: quando entra in campo deve vincere a ogni costo. Ieri ha vinto con la testa».
Una sentenza che suona come una benedizione tecnica e umana. E che chiude idealmente una carriera fatta di intuizioni, racconti, memorie vissute a bordo campo.
Una chiusura che segna un’epoca
Al termine di una notte irripetibile, la voce di Marco Fiocchetti ha salutato gli spettatori italiani nel momento più alto del tennis nazionale. Un testimone passato nel modo più naturale possibile: narrando l’impresa del campione che sta riscrivendo la storia.
Una fine elegante, emozionata, perfetta.
La fine esatta che un telecronista merita quando diventa parte della storia che racconta.

